Roberto Burioni: la scienza non è democratica?
La scienza non è democratica. Si tratta di un terreno nel quale sono necessarie competenze e specializzazioni. Per affrontare argomenti così specifici con cognizione di causa occorre avere una solidità scientifica che è frutto di studi decennali. Se non si possiedono questi strumenti culturali, le conclusioni erronee hanno effetti potenzialmente devastanti e pericolosi.
A dirlo è Roberto Burioni, medico e docente di virologia e microbiologia, a proposito delle numerose bufale pseudoscientifiche che circolano sul web. In poco tempo è diventato una star sui social, grazie anche all’opera di divulgazione rilanciata sulla sua pagina Facebook. In un recente post ha chiarito che la sua pagina “non è un luogo dove gente che non sa nulla può pretendere di avere un civile dibattito con me”. Parole taglienti che hanno generato accuse e accesi dibattiti.
Il suo stile comunicativo pecca, talvolta, di arroganza. Ma lo sfogo del virologo è senz’altro indice di un problema che riguarda il mondo della comunicazione – e dei social media – che i recenti fatti di cronaca hanno fatto emergere. Il diritto di dire la propria opinione è sacrosanto. Ci sono però temi delicati – come quello delle vaccinazioni – che richiedono una competenza specifica. E’ normale che non tutti abbiano 35 anni di esperienza nello studio e nella ricerca sui vaccini. Il problema è avere la sfacciataggine di voler discutere alla pari con chi queste esperienze ce le ha.
Nonostante l’appello del medico infatti, l’ignoranza è una nota superba, anche grazie all’effetto del web che appiattisce ogni valore. Il risultato è che ognuno si sente autorizzato a dire la propria su argomenti che ignora in gran parte. Lo stesso Burioni fu protagonista di uno scontro televisivo con un improvvisato Red Ronnie. Nell’occasione, il cantante sosteneva che era assurdo vaccinare i bambini, essendo il latte materno sufficiente per creare gli anticorpi.
E’ come se si accettasse la telecronaca di una partita di calcio da uno che non ha idea di cosa sia il fuorigioco. E’ come se si chiedesse al proprio pasticciere di fiducia di praticarci un’angioplastica alle coronarie. Se un’affermazione come quella di Red Ronnie venisse fatta al bar, il tutto finirebbe con una risata. Ma se una tale sciocchezza viene esternata in televisione e l’opinione di un virologo viene messa sullo stesso piano di un esperto di musica, ci troviamo di fronte ad un evidente problema nel circuito informativo.
L’uno vale uno è doveroso in democrazia. Ma nella scienza si deve accettare – con tutte le attenzioni del caso – anche il principio di autorità. Solo questo permette di distinguere i professionisti della materia da autentici stregoni e arruffapopoli.
Perché altrimenti poi i danni per la società e la comunità sono immani. Germana Durando, ad esempio, pretendeva di curare i malati di cancro con il metodo Hamer e consigliava di non seguire le terapie tradizionali, dal momento che il tumore sarebbe solo un problema psichico. Consigli che sono costati la vita a Marina, sua paziente affetta da melanoma. Gabriella Mereu suggeriva, invece, tra le cure per infertilità l’inserimento di un’immagine di una madonnina nel profilattico, oltre a cure a base di omeopatia, riti magici e terapie emozionali.
È per questo che la scienza non può essere democratica. È certamente un patrimonio di tutti – non solo degli scienziati o di poche élite – ma funziona con delle logiche che non sono quelle della democrazia. Non tutte le opinioni sono accettabili e molte volte i fatti non sono opinioni.
Allo stesso tempo però, gli studiosi hanno il dovere di divulgare e rendere accessibile questo sapere. Ed è proprio questa azione di divulgazione e mediazione a presupporre di per sé un rapporto di fiducia. La crisi di questo rapporto apre la strada ad autentici ciarlatani. Senza dimenticare che, in questo meccanismo perverso, i truffatori esistono anche perché esistono i creduloni.
La vera sfida è dunque parlare ad un mondo sempre meno interessato ai fatti e sempre più interessato al modo in cui le cose vengono presentate o percepite. Il web e l’illusione del “tutto e subito” hanno fatto tramontare la concezione del limite e della complessità. Aveva ragione Umberto Eco: i social network hanno dato diritto di parola a “legioni di imbecilli”, che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino senza danneggiare la comunità. Ora fanno morire le persone. E da morti sì, uno vale uno.