Marx e l’Ecologia: alle origini dell’ecosocialismo

Come ogni corrente ideologica significativa l’ecologismo contiene al suo interno molte e diverse fazioni, correnti, gruppi di pressione e scuole di pensiero, tra i quali ad esempio: gli ecosocialisti detti anche rosso-verdi, gli ecocapitalisti, gli ecologisti liberali, i progressisti, i conservazionisti, gli ecofascisti, gli anarchici, The Ecologist, Greenpeace, Friends of the Earth, Earth First!,  e altri. Tutti questi attori hanno visioni diverse su come declinare l’ecologismo, creando un panorama tinto di diverse tonalità di verde che vanno dal “Pale Green”, ovvero gli ecologisti moderati, al “Deep Green”, ovvero gli ecologisti radicali. Tra questi ultimi si collocano gli ecosocialisti che coniugano l’ecologia con il pensiero marxista.

L’ecosocialismo unisce due modi complementari di concepire gli esseri umani e l’ambiente da essi abitato. Nella parola “ecosocialismo” il prefisso “eco” sta per ecologia e sottolinea come ci siano interazioni dinamiche e complesse tra gli organismi viventi e non-viventi all’interno di un ecosistema. In particolare gli ecologisti studiano come i processi che permettono alla vita di prosperare sul nostro pianeta possano essere alterati dal comportamento di alcuni esseri viventi, come ad esempio gli esseri umani. Mancando l’ecologia di un metodo di analisi sociale tuttavia, che sia in grado di spiegare come le forze politiche ed economiche guidino l’agire umano, essa nell’ecosocialismo si è combinata al pensiero socialista e soprattutto al marxismo. Usando le lenti ideologiche del marxismo, l’ecosocialismo individua le cause della nostra attuale crisi ecologica nel comportamento distruttivo del modo di produzione capitalista e cerca di analizzare e immaginare un modo di produzione più sostenibile e alternativo ad esso. L’ecosocialismo  quindi individua nella ricerca spregiudicata del profitto la radice di due problemi solo apparentemente distanti tra loro come la degradazione ambientale e le ingiustizie sociali.

Sebbene Marx non abbia mai denunciato apertamente il processo di degradamento ambientale, un filone della letteratura marxista in cui spiccano John Bellamy Foster e Paul Burkett sostiene che nel pensiero marxiano (ovvero desunto dagli scritti del filosofo e non dalla critica marxista successiva) socialismo ed ecologia sono due facce della stessa medaglia. Per capire meglio questa affermazione è utile andare ad approfondire alcuni passaggi fondamentali del pensiero di Marx ed Engels; il loro pensiero prese forma attraverso tre opere fondamentali: l’Ideologia tedesca (1845-46, edita nel 1932), il Manifesto del Partito Comunista (1848), Il Capitale (1867).

L’Ideologia tedesca, scritta da Marx ed Engels nel 1845 ma pubblicata postuma a causa di difficoltà editoriali, aveva lo scopo primario di porre le basi del pensiero dei due autori (nelle parole dello stesso Marx: “il nostro scopo principale, era di veder chiaro in noi stessi”) prendendo le distanze dalla filosofia post-hegeliana dominante all’epoca in Germania. L’opera imputava ai giovani hegeliani il fatto di credere che la vera rivoluzione avvenisse nel pensiero, in una critica puramente teorica delle istituzioni e dei pregiudizi. I due autori imputavano a questo approccio, da loro definito “ideologia”, di scambiare l’ordine di priorità delle cose, facendo prevalere la sovrastruttura, ovvero il mondo delle idee, sulla struttura ovvero la sfera della produzione materiale, che è la base della vita reale degli uomini. L’idealismo tedesco invece aveva fino a quel momento improntato a sé ogni settore accademico, anche quello militare ad esempio, dove si pensava che la strategia militare potesse essere codificata in leggi fisse che qualora applicate avrebbero sempre portato alla vittoria, facendo prevalere l’idea sulla realtà delle cose. Marx ed Engels, invece, hanno avuto il merito di riconoscere che la coscienza non può mai essere qualcosa di diverso dall’essere cosciente, e l’essere degli uomini è il processo reale della loro vita. Inoltre, essi aprono la via in quest’opera al materialismo storico ovvero all’idea che in ogni epoca le idee dominanti siano le idee della classe dominante poiché la classe che dispone dei mezzi di produzione dispone anche dei mezzi di produzione intellettuale. Se si riuscisse ad abbattere la classe dominante, secondo i due autori, le leggi che fino a quel momento sembravano “eterne” e “immutabili”, perché prodotte dalla classe dominante, mostrerebbero la loro natura meramente transitoria; è questa la caratteristica del pensiero ideologico e non scientifico. Marx auspicava che questo rovesciamento avvenisse per mano della nuova classe in ascesa, il proletariato, a spese della borghesia.

Il tema della classe operaia che nella lotta si costituisce in classe “per sé” cioè si unifica e si organizza e diviene soggetto politico, domina il Manifesto del Partito Comunista (1848), steso da Marx ed Engels. Nel Manifesto non si delinea però un progetto utopico ma anzi, il comunismo è descritto come l’esito di un processo storico che ha il suo asse portante nell’affermazione della borghesia contro il vecchio mondo feudale e nell’instaurazione del modo capitalistico di produzione, che porta alla formazione di una sempre più ampia classe operaia che inizierà una lotta di classe per creare una società senza classi, la società comunistica. Già nel Manifesto si percepisce un tema che verrà poi sviluppato dal punto di vista economico ne Il Capitale ovvero il fatto che proprio con la vittoria della borghesia si creino le condizioni per un nuovo passo in avanti nella storia del mondo, come se, già nel capitalismo, fossero contenuti i semi che una volta germogliati, porteranno alla sua distruzione.

“Ma la borghesia non ha soltanto fabbricato le armi che le porteranno la morte; ha anche generato gli uomini che impugneranno quelle armi: gli operai moderni, i proletari”.

(Manifesto del Partito Comunista)

Il sospetto di Marx verso l’”ideologia” e la persuasione che il pensiero debba essere supportato da prove empiriche l’ha portato ne Il Capitale a spiegare economicamente il comunismo, attraverso la teoria del plusvalore. La teoria del p. parte dall’assunto che la quantità di lavoro contenuta nel prodotto (valore del prodotto) superi quella che serve a ricostituire la forza-lavoro consumata (valore del lavoro, ossia salario), il surplus che ne deriva, secondo Marx, è un guadagno per l’imprenditore. Secondo Marx ci sono due tipi di capitale, il capitale variabile ovvero il salario della forza lavoro, contrapposto al capitale costante ovvero gli impianti: il saggio del plusvalore o saggio di sfruttamento è dato dal rapporto tra plusvalore e il salario dell’operaio

S= Pv/v

Nella formula, il saggio di sfruttamento aumenta al diminuire del salario, che nell’ottica di Marx era un salario minimo di sussistenza che il lavoratore non poteva far altro che accettare a causa della concorrenza esercitata dalla massa di disoccupati, il sistema capitalistico quindi veniva rafforzato dall’esistenza della disoccupazione.

Vi è tuttavia nell’analisi marxiana un germe di autodistruzione; infatti con il procedere dell’accumulazione il sistema economico investe maggiormente negli impianti, cioè nel capitale fisso (anche grazie al progresso tecnologico) e il saggio del profitto, definito come rapporto tra plusvalore e somma del capitale fisso e variabile, decresce all’aumentare del capitale fisso. All’aumentare quindi della componente degli investimenti sul totale del capitale di impresa, il saggio del profitto diminuisce e porterà all’implosione del sistema capitalistico.

Saggio del profitto = Pv/(cc+v)

Tuttavia già nel 1942 alcuni economisti hanno visto come l’aumento della produttività grazie alle nuove tecnologie, lungi dal diminuire il profitto, ha permesso maggiori guadagni, più efficienza e salari più alti nonché lo sviluppo di settori economici impensabili all’epoca di Marx. I vincoli al modo di produzione capitalistico si sono palesati allora sotto forma di danni all’ambiente, per cui la crescita economica e il sovrappopolamento hanno iniziato a danneggiare il pianeta, la salute dell’ecosistema e l’economia di sussistenza di ampie parti del mondo che, lungi dall’essere industrializzate, vivono ancora dei prodotti della terra e sono sempre più soggette a carestie, siccità e cambiamenti climatici. In quest’ottica John Bellamy Foster e Paul Burkett sostengono che “the only possible socialism is ecosocialism”. Sebbene Marx  non abbia mai usato la parola “ecologia” egli ha introdotto la nozione di metabolismo sociale o socio ecologico per indicare la relazione fra l’essere umano e la natura mediante il lavoro:

“Il lavoro è un processo che si svolge prima di tutto fra uomo e natura, un processo nel quale l’uomo regola e controlla il proprio metabolismo con la natura mediante la propria azione. Si presenta di fronte alla materia naturale come una potenza naturale. Mette in moto le forze naturali della sua persona fisica, braccia e gambe, testa e mani, per appropriarsi della materia naturale in una forma utile alla propria vita. Ma, agendo sulla natura esterna e modificandola con questo movimento, egli modifica la propria stessa natura”

(Il Capitale, libro I)

Inoltre secondo Marx l’industria e l’agricoltura su larga scala erano alleate dell’impoverimento dei suoli e dei lavoratori poiché la grande industria non restituiva al suolo i suoi nutrienti e non cercava di reintrodurre nel ciclo produttivo i residui della produzione industriale e del consumo così da poter chiudere il cerchio metabolico.

Inoltre in un passaggio de Il Capitale Marx elaborò un’idea più generale della sostenibilità ecologica dicendo che:

“[….]lo spirito stesso della produzione capitalistica, centrata sul profitto immediato, sono in contraddizione con l’agricoltura, che deve gestire la produzione tenendo conto dell’insieme delle condizioni di esistenza permanenti delle generazioni umane che si susseguono”

Marx coglieva così l’essenza dell’idea contemporanea dello sviluppo sostenibile. L’antagonismo tra città e campagna e la rottura metabolica provocata dalla grande industria erano evidenti anche a livello mondiale, tramutandosi in politiche imperialiste con intere colonie che si vedevano rubare le proprie terre, risorse, suolo, per sostenere l’industrializzazione dei paesi colonizzatori.

Il filone dell’ecosocialismo, quindi, riconducendo un ampio spettro di questioni come quella dell’ecologia, della disuguaglianza sociale, dell’imperialismo e della globalizzazione alla causa comune del capitalismo si pone in contrapposizione ai cosiddetti ecocapitalisti, detti anche blu-verdi. L’ecosocialismo punta ad un’economia sottomessa all’ambiente dove attraverso la dottrina socialista ci sia un’universale soddisfazione dei bisogni e un’uguaglianza sociale in armonia con la protezione e il rispetto della natura e dell’equilibrio ecologico.