Ai confini del mondo: Nauru, l’isola distrutta dall’uomo dove il 72% della popolazione è obesa

Per i pochi che ne hanno sentito parlare, lo stato di Nauru è noto soltanto per il terribile centro di detenzione dove il governo australiano blocca, spesso in condizioni fisiche e sanitarie orribili, i richiedenti asilo. Eppure, la minuscola isola oceanica, che con i suoi 10 mila abitanti costituisce la repubblica indipendente più piccola del mondo, ha vissuto negli anni recenti una storia drammatica e cupa, autentica fiaba dell’orrore che dimostra fino a che punto la scelleratezza umana possa devastare la terra e la natura.

Nonostante il suo isolamento fisico, a nord-est delle coste australiane, Nauru ha da sempre stuzzicato l’appetito delle grandi potenze per via dei suoi immensi giacimenti di fosfati. Occupata dapprima dalla Germania, poi da un’amministrazione congiunta di Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda, poi dal Giappone e infine da un mandato fiduciario australiano imposto dalla Nazioni Unite, l’isola si è resa indipendente solo nel 1968, concedendo però agli inglesi lo sfruttamento delle miniere.

Grazie al pagamento dei diritti di estrazione, gli abitanti dell’isola beneficiarono nei primi decenni di uno tra i redditi pro capite più alti al mondo. Tuttavia, i governanti non seppero incanalare questa ricchezza in un piano di sviluppo coerente, e la sprecarono in progetti futili ed esuberanti, come la costruzione di un grattacielo a Melbourne, o l’organizzazione di uno spettacolo teatrale a Londra sulla vita di Leonardo da Vinci.

Nel frattempo, la forza lavoro del paese si dedicava in maniera massiccia all’estrazione di fosfato, trascurando gli altri settori. Il più penalizzato fu quello della pesca, ma anche l’agricoltura soffrì lo sfruttamento eccessivo dei terreni per impiantare miniere. Senza più alimenti da produrre e consumare, la popolazione iniziò a consumare cibi spazzatura e prodotti surgelati, causando l’incredibile tasso di obesità del paese, che si aggira intorno al 72%, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Si aggiunsero a questo scenario tragico i processi di deforestazione, inquinamento del mare, desertificazione dell’isola, riduzione delle aree abitabili. Ogni centimetro quadrato di terreno o mare doveva essere impiegato per l’estrazione dei fosfati, con la certezza che questa miniera d’oro si sarebbe rivelata un pozzo senza fondo.

Tuttavia, all’inizio degli anni 2000, accadde la tragedia: le miniere di fosfato si esaurirono. Senza un piano di riconversione, i governi corrotti e impreparati del paese dovettero fare i conti con una crisi senza precedenti. Nel 2004, i disoccupati rappresentavano il 90% della popolazione del paese, che di fatto significa 9 mila persone su 10 totali senza un lavoro.

A nulla, o quasi, servirono i tentativi di salvare il paese dalla bancarotta, come quello di trasformare Nauru in un paradiso fiscale per i capitali russi. Furono gli Stati Uniti, per ovvie dinamiche geopolitiche, ad opporsi all’iniziativa, promettendo in cambio investimenti tardivi e insufficienti. Vano fu anche il progetto di trasformare Nauru in una meta per il turismo internazionale: ormai inquinata e spoglia, l’isola si presenta agli occhi dei pochi turisti –furono solo 200 nel 2011- come un deserto arido e per nulla attrattivo.

Solo l’intervento australiano ha salvato le sorti del micro-stato, subordinandone però la salvezza a condizioni durissime, che fanno di Nauru, di fatto, una colonia del gigante oceanico: utilizzo del dollaro australiano come valuta, dipendenza dagli investimenti australiani, costruzione del famoso centro di detenzione, definito anche da alcuni cronisti “la Guantánamo australiana”, in territorio di Nauru. Esiste persino un piano che prevedrebbe il trasferimento di tutta la popolazione di Nauru su un’isola australiana in caso di disastro ambientale, minaccia tutt’altro che improbabile viste le condizioni disastrose in cui versa l’isola.

Dei fasti di Nauru successivi all’indipendenza, dunque, non resta quasi nulla: solo una popolazione obesa e decadente, e magari il rimpianto di tante, troppe scelte sbagliate. Ma attenzione alle possibili lezioni che l’esperienza di Nauru ci può trasmettere: su tutte, l’importanza del rispetto dell’ambiente, della biodiversità e del territorio di fronte alle pretese ingorde del turbocapitalismo e del dio profitto, che spesso ci fanno dimenticare che la Terra non è nostra, è solo in prestito, e se non la rispettiamo, gli interessi da pagare saranno molto salati.